Mi permetto di spendere qualche parola sull’ultima partita della carriera di Kobe Bryant. Come saprete, non sono un suo fan, anche se ne ho ammirato le gesta e ne ho percepito la grandezza. In quella sottile linea di demarcazione tra l’essere hater e lover mi reputo di essere stato sempre abbastanza lucido nel giudicarlo come giocatore.

Che Kobe avrebbe giocato una partita del genere lo sapeva anche l’ultimo degli stronzi, ma in realtà nessuno avrebbe mai pensato a una cosa del genere, tanto da oscurare il fatto che di lì a 400 chilometri di distanza si stava facendo la storia del gioco.

Kobe ha giocato una partita per se stesso in primis per portare all’esasperazione i suoi limiti, la sua resistenza fisica, imprimere nelle nostre teste quello che lui è in grado di fare, giusto o sbagliato che sia.

Poi ha giocato per noi/voi, facendo felici miglia di lovers per quei 60 punti dando una ripassata a tutto il suo repertorio di finte, giri sul perno, zingarata in area, scivolamenti a canestro, tiri dal palleggio e segnando i canestri della vittoria… e facendo altrettanto felici migliaia di haters per quei 50 tiri dal campo, 32 dei quali contestati, in tutto i 2/3 dei tiri Lakers complessivi.

D’altronde la sua più grande forza e il suo più grande limite è stato quello di non scendere MAI a compromessi, nel bene e nel male. Ogni partita che ha giocato in carriera, ogni impresa che ha compiuto, ogni traguardo che ha raggiunto lo ha fatto adornato di luci e ombre: Artefice (e co-artefice) principale degli ultimi 5 titoli dei Lakers e fautore della loro rovina delle ultime 3 stagioni. Terzo realizzatore di sempre nella storia della NBA e primo per tiri dal campo tentati e sbagliati. Il più vecchio giocatore di sempre a segnare 60 punti e il primo giocatore di sempre a segnarne altrettanti all’ultima partita in carriera, ma anche il primo di sempre a tirare almeno 50 volte in una gara da quando i tiri dal campo vengono conteggiati come statistica (dal 1983).

I primi 42 minuti della partita contro i Jazz sono stati un’oscenità, una pessima sceneggiatura di quella che doveva essere una passerella finale che stava diventando irritante, un circo, 43 punti frutto di 41 tiri nella più brutta caricatura del personaggio Kobe Bryant.

Poi 17 punti a fila per comandare la rimonta, segnare il sorpasso e l’allungo per la vittoria. 9 degli ultimi 11 tiri Lakers hanno portato la sua firma. L’unico oltre a Kobe ad aver segnato in questo lasso di tempo è stato Clarkson… su assist di Kobe, che ha chiuso la sua carriera da giocatore con un passaggio, ironico no?

Ecco, ho deciso che cancellerò dalla mia memoria i primi 3 quarti e mezzo di partita e terrò in un cassetto dei ricordi solo gli ultimi 6, quelli che ha giocato in apnea, senza più una stilla di energia nel suo corpo, in completa asistolia ventricolare, in cui aveva le smorfie di dolore sul volto e gli occhi che brillavano di ardore agonistico.

Perchè alla fine si può sorridere al fatto che abbia tirato 50 volte, ma occorre preparazione fisica e mentale per prenderseli, e soprattutto segnarne 22. Dopotutto quella partita per i Lakers era pensata come un’esibizione, l’ultimo tributo al proprio campione, invece per i Jazz contava, ed hanno difeso alla morte per non farlo segnare.

Sono stati minuti intensi, un turbinio di emozioni e stanchezza fisica/emotiva che hanno scatenato la bestia, fatto uscire il Mamba, hanno rivoltato la gara e ci hanno regalato un finale epico per quella che probabilmente è stata una della partita più inutili e ininfluenti della stagione.

Non ha lasciato la NBA come fece MJ (temporaneamente) nel 1997 dopo aver segnato il canestro della vittoria di Gara 6 contro i Jazz. O sempre come MJ nel 2003 al termine del suo Farewell Tour che aveva comunque un minimo di valenza cestistica ed avvenne in un epoca in cui non vi erano social network, facebook e twitter.

Lo ha fatto al termine del peggior trienno di sempre per efficienza realizzativa rapportato al volume di tiro ed al peso specifico del giocatore.

Però ha lasciato alle sue condizioni, senza compromessi, come sempre, e di questo gli va dato atto.

Nessuno come lui ha diviso le folle. Ci saranno altri luoghi e altri momenti per riassumere e valutare la sua carriera, il suo posto nell’olimpo del basket e la sua eredità.

Oggi è giusto tributargli TUTTI la standing ovation per quello che ha fatto, per essere stato coerente con se stesso fino all’ultimo.

Ciao Kobe, ci mancherà amarti/odiarti.